Bangladesh | Smantellamento delle navi

Il Bangladesh ritorna spesso nei miei viaggi di lavoro. Penso che più si conosce un paese e l’umanità che la abita e più si riesce a capire come fotografarlo. Le storie s’intrecciano, una chiama l’altra e sono le stesse persone a raccontare e guidarti nella scelta delle storie.
Nel settembre del 2003 ho un nuovo incarico da D Repubblica delle donne per documentare lo smantellamento delle navi nella baia di Chittagong, un villaggio di mare vicino al confine birmano.
Navi cargo russe e cinesi vengono, ogni anno, trainate con le funi verso la riva da migliaia di uomini che le avvicinano al cantiere, pronte per essere demolite.
Un lavoro durissimo eseguito da operai che lavorano senza alcuna protezione, a piedi nudi o con infradito che non li proteggono dai pezzi di metallo nascosti nella sabbia né da eventuali cadute delle lamiere. Ragazzi ancora adolescenti che manovrano cannelli di fiamma ossidrica per separare le lastre di acciaio e spesso non usano neppure gli occhiali di protezione. Un girone infernale di uomini che per soli 2 dollari al giorno riescono in meno di quattro mesi a smanettare una nave cargo di notevoli proporzioni.
Ho visto 30/40 uomini issarsi sulle spalle lastre in acciaio di molti quintali e trasportarle dalla nave al cantiere, camminando sulla sabbia bagnata e instabile, con il pericolo di rimanere schiacciati in caso di caduta di qualcuno. Un’umanità disperata costretta a lavorare privi di regole, con temperature di 40 gradi, senza nessuna assicurazione di un lavoro continuativo perché ogni mattina il “caporale” addetto alla scelta degli operai decide chi ammettere al cantiere.
Ho trascorso con loro vari giorni rischiando anche la vita una mattina, all’alba, quando da solo mi sono avviato verso le navi approfittando della bassa marea. Volevo approfittare di una luce irreale che solo per pochi minuti mi avrebbe permesso di immortalare al meglio quelle sculture di acciaio che si ergevano in tutta la loro potente struttura. La mia è stata una scelta incauta perché la bassa marea non aveva solidificato la sabbia e sono caduto in una buca e risucchiato fino alla cintola. Fosse stata più profonda sarei sparito senza possibilità alcuna di salvarmi. Per fortuna dal cantiere qualcuno aveva seguito la scena e sono corsi in tanti a tirarmi fuori da quella prigione di sabbia. Terrore puro….e la foto che dovevo fare rimandata al giorno seguente.

Commenti (1):

  1. Ramona

    Giu 18, 2022 il 1:57 PM

    Uno dei tuoi servizi più toccanti. Spero tutto ok in Afganisthan. Ti abbraccio, ramona

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *