Nel febbraio del 2005 vengo contattato da Terre des Hommes Italia per realizzare un reportage in Bangladesh su di un loro progetto che riguardava le prostitute bambine.
Il loro compito era quello di supportare le ragazze dal punto di vista sanitario e insegnare loro un mestiere utile a garantire un futuro meno complicato e spezzare una catena tramandata dalle madri…e le madri dalle nonne.
Nel golfo del Bengala si trovano due villaggi, Jessore e Dalhatia, dove diecine di ragazze minorenni vivono blindate e si vendono ai tanti camionisti che percorrono la statale verso l’India. Vivono in baracche costruite con lamiere che durante il giorno s’infuocano sotto il sole dei tropici, senza acqua corrente, consumando dai 20 ai 30 rapporti al giorno. Quasi nessuna usa il condom, non si curano di alcuna norma igienica e le malattie a trasmissione sessuale proliferano ai massimi livelli. Le tenutarie di questi villaggi/bordelli sono esclusivamente donne e tengono prigioniere queste bambine costringendole alle richieste più varie dei clienti.
Ogni giorno seguivo i volontari di Terre des Hommes aggirandomi per le baracche e guardando, senza fotografare, quell’inferno prestato a una squallida realtà imposta a tante ragazze senza futuro.
Renata Pisu intervistava e raccoglieva storie che io documentavo con grande difficoltà, dal momento che una macchina fotografica non era ben accetta. Molte volte abbiamo rischiato la reazione violenta delle tenutarie, mentre le ragazze accettavano la nostra presenza al punto che dopo qualche giorno ci cercavano per raccontare, ognuna la propria storia. Ricordo in particolare l’odissea di una madre e figlia prigioniere nel bordello di Jessore.
La madre aveva ricevuto minacce di morte da un creditore strozzino poiché non era in grado di restituire il prestito. La figlia di 11 anni aveva deciso, per salvare la madre, di lavorare da un anno e concedendosi ogni giorno a diecine di uomini. Sperava di mettere da parte la somma sufficiente per pagare il creditore e salvare sua madre. Storie lontane, incomprensibili per chi vive in latitudini lontane da questi inferni, lontani dalla nostra comprensione poco abituata ad aprire gli occhi sulle tragedie degli altri.
Protesi più a giudicare piuttosto che capire.