La guerra civile di El Salvador è stato un conflitto armato combattuto tra l’esercito salvadoregno e le forze ribelli del Fronte Farabundo Martì.
Tra il 1979 e il 1992 il conflitto ha prodotto 80.000 morti e numerosi atti di violenza ad opera degli squadroni della morte (Mano blanca) responsabili delle tante sparizioni e dei delitti di stato.
Il partito Arena, guidato da Roberto D’Abuisson, dette inizio al conflitto civile ordinando il 24 marzo del 1980 l’uccisione di Monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, il quale, dopo aver sostenuto la politica del governo, si ribellò a quel sistema di violenza coniugando i principi della teologia della liberazione molto diffusa in quel tempo in tutta l’area del Centro America.
La sinistra, organizzata in un gruppo denominato FMLN (Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale) guidato da Cayetano Carpia e Joaquìn Villalobos traeva sostegno tra le organizzazioni contadine delle aree rurali e tra i settori dei lavoratori urbani.
Il governo mobilitò l’esercito e la polizia per combattere l’insurrazione e gli Stati Uniti dettero il loro appoggio politico e militare inviando nel Paese consiglieri militari e forniture belliche.
Fu istituito un gruppo speciale antiguerriglia, il famigerato battaglione Atlacatl comandato dal colonnello Domingo Monterosa che, tra l’altro, si rese responsabile del Massacro del Mozote.
Nel marzo del 1981 il suo reparto entrò in questo villaggio nascosto tra le montagne ai confini con l’Honduras e giustiziò in poche ore 800 persone. Solo una donna sopravvisse e potè raccontare, anni dopo, questo massacro di civili.
Il 16 gennaio 1992 Governo e ribelli del FMLN vennero convocati a Città del Messico per la firma degli accordi di pace e la successiva distruzione delle armi.
Si chiuse così, dopo 12 anni di guerra una delle pagine più violente della storia del Salvador.