El Salvador | Carcere femminile di Quetzaltepeque

La Mara Salvatrucha ebbe la sua creazione negli anni 80/90 nei ghetti di Los Angeles, in California, con lo scopo di assistere i salvadoregni emigrati che scappavano dal loro paese devastato da una guerra civile durata 10 anni e combattuta tra l’esercito governativo e il gruppo di guerriglia Farabundo Martì. Un decennio caratterizzato da violenze, sparizioni, esecuzioni extra giudiziali e fosse comuni sparse in tutto il paese.
La guerra civile terminò nel 1992 con gli atti di pace e la distruzione delle armi, ma non
terminò la violenza. La Maras 13 e la Maras 18 sono oggi l’emergenza sicurezza del Salvador e si spartiscono le attività criminali tra vendita di droga, sequestri, estorsioni, rapine e omicidi.
L’ingresso in queste bande comporta prove molto dure che vanno dal pestaggio violento per i ragazzi allo stupro di gruppo per le ragazze. I membri delle maras salvatrucha si distinguono per i tatuaggi che coprono corpo e viso, oltre che un linguaggio dei segni mutuato dalle gang nere nordamericane.
La banda del barrio18 e la maras salvatrucha M13 sono padroni del territorio, fermano gli autobus di linea, rapinano, uccidono e danno fuoco al mezzo. San Salvador, la capitale, si gira in macchina, nessuno gira a piedi. Ogni casa è protetta da robuste cancellate e i centri commerciali sorvegliati da polizia privata con armi da guerra. La violenza si respira in ogni momento e nessuno di sente sicuro.
Nel dicembre del 2006 ritorno in Salvador, un paese a lungo frequentato 25 anni prima durante il conflitto civile. Ritrovo le atmosfere conosciute ma molto cambiate. La capitale è diventata un enorme centro commerciale e non riconosco più strade e punti di riferimento, allora molto identificabili. Lavoro per Soleterre sui tumori pediatrici e tramite la onlus, collegata alla Croce Rossa, riesco a realizzare un lavoro sul carcere femminile di Quetzaltepeque. Un carcere dove sono rinchiuse piùà di 400 donne appartenenti alla Maras 18 e quasi tutte con pene da scontare per omicidio. L’iter per ottenere i permessi necessari non è stato facile. Mattinate trascorse al Ministero di Giustizia in attesa del pass e delle autorizzazioni necessarie. Finalmente arrivano e un lungo viaggio in macchina da San Salvador alla città di Quetzaltepeque, mi porta davanti al cancello del carcere.
Mostro le credenziali e vengo sottoposto ad una accurata ispezione. Mi accompagnano due volontarie della Croce Rossa che ogni tanto entrano nel penitenziario a rendersi conto dei bisogni delle donne e dei loro bimbi piccoli. Figli che possono tenere con loro fino all’età di 5 anni e poi vengono dati in consegna agli orfanotrofi, non avendo un padre, ucciso dalla sua compagna o dalla polizia, e neppure i nonni che rifiutano di accoglierli.
Entro all’interno. Il sovraffollamento era soffocante, un labirinto di corridi pieni di spazzatura, i muri con segni evidenti di urina e brande a castello dove ognuna cercava un po’ d’intimità con un pareo che chiudesse lo spazio visivo. Da quei corridoi si accede in uno spazio comune, simile a un souk, con centinaia di donne tatuate, sedute per terra e ammassate tra biancheria penzolante ad asciugare e urla continue.
Alla mia vista quasi tutte mi accolgono al grido di “hijo de puta” sputando per terra. Mi rendo conto che fotografare è impossibile e già vedo la giornata persa, dopo tanto trafficare per ottenere il permesso di essere dove sono.
Entro in una camerata e vedo una donna che sta scrivendo una lettera a suo figlio, provo a parlarci e lei mi dice di essere triste perché a qualche giorno dal Natale non sa più nulla di suo figlio di 8 anni. Parliamo e le chiedo se posso farle una foto. Lei acconsente e quell’assenso è stato il gesto magico che ha prodotto un miracolo. Le altre guardavano la scena e, come per magia, ognuna ha cominciato a truccarsi per avere una foto. Da quel momento potevo girare tra loro e scattare quando e come volevo, finalmente accolto con sorrisi e non più con gli sputi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *