Argentina | A 35 anni dal golpe

Esistono luoghi dove si torna perché sono le storie degli uomini a chiamarci.
Quelle storie, poi, si legano tra loro, si adeguano al tempo e si arricchiscono di vita concedendoci il privilegio di conoscerle e frequentarle.
Ecco il perché dell’Argentina. Ecco il perché di Buenos Aires. Quest’anno offriva un motivo di più per esserci. Si ricordano i 35 anni dal golpe militare del 21 marzo 1976.
E’ la partecipazione corale di una nazione che intende condividere il ricordo di quegli anni difficili e tragici, censurati per troppo tempo perfino dalle democrazie occidentali, inclini più alle convenienze che ai diritti umani.
Ho seguito la storia argentina dalla fine degli anni ’70, in pieno regime militare.
Ho assistito alle occupazioni delle università, ho condiviso la paura delle persone a parlare e aprire gli occhi, ho respirato il clima cupo della tensione e della precarietà di quelle esistenze ossessionate da militari di un esercito abituato a mostrare muscoli e impunità.
Ogni giovedi, alle 17, diecine di madri con un fazzoletto bianco in testa sfilavano mute, con le foto dei loro figli, davanti alla Casa Rosada in Plaza de Mayo. Sfidavano il potere e la paura davanti ai soldati che le minacciavano e le picchiavano.
Figli e figlie che sparivano in luoghi come il Club Atletico, Cavallo, Garage Olimpo, la Esma…..nomi diventati incubi nella memoria collettiva.
Venivano sequestrati e torturati per giorni, nascosti ai parenti e a chiunque li reclamasse, per sparire in fondo al mare ogni mercoledi notte scaricati, nudi e anestetizzati con un’iniezione di pentothal, in un tuffo senza ritorno. Nel 1978 si svolsero in Argentina i campionati del mondo di calcio. Giornalisti e televisioni di tutto il mondo affluirono per raccontare un avvenimento che prima ancora che sportivo doveva celebrare il regime di Videla, di Gualtieri e di Massera.
La nazionale di casa vinse il mondiale mentre, fuori dagli stadi, le “ Ford falcon “ con i vetri anneriti, percorrevano le strade guidate da gruppi paramilitari addestrati al rapimento e alla tortura.
Nessuno dei rappresentanti della stampa internazionale scrisse una sola parola su quella triste realtà.
Meglio commentare le imprese dei calciatori che denunciare sparizioni e torture. I generali non avrebbero gradito. Quello che è stato a tutti gli effetti un genocidio, ha contato più di ventimila morti in sette anni di dittatura. Poi, nel 1983, è arrivata improvvisa la fine dei generali.
Furono seppelliti con le loro stellette dalla disfatta di una guerra inutile, combattuta tra le scogliere delle isole Malvinas/Falckland, che vide la Gran Bretagna, sovrana in quel territorio, reagire alla minaccia di un’annessione forzata al territorio argentino.
1.700 soldati argentini e 800 soldati inglesi morirono nell’inverno australe. Fu il colpo di coda di un regime che tentò con quel conflitto di compattare la nazione contro un nemico immaginario e distrarre l’opinione pubblica dalle pesanti responsabilità di un massacro perpetrato ai danni di un’intera generazione di giovani connazionali.
La storia, per fortuna, ogni tanto spariglia le carte e quella sconfitta fu soprattutto la sconfitta dell’arroganza di un regime impunito e senza vergogna. Il seguito delle vicende nazionali è maturato tra speranze andate deluse e la ricostruzione di un tessuto democratico che ha dovuto fare i conti con i poteri forti dell’economia e della politica coniugata tra privilegi e corruzione.
Le leggi che dovevano punire i militari sono state promulgate e mai fatte valere per paura del ritorno di una nuova dittatura.
I magistrati collusi con la dittatura, la Chiesa che benediva chi andava a morire con i voli della morte, la stampa che nascondeva la realtà delle prigioni clandestine e delle torture….tutti si sono riciclati e confusi nel perdono nazionale.
In parte il tempo trascorso ha medicato le ferite ma non le ha rimarginate. 35 anni sono trascorsi dalla f ine di quell’incubo ed oggi ho ritrovato un’anima diversa a Buenos Aires e nei molti luoghi dell’Argentina che ho attraversato in un mese e mezzo di viaggio dalle Ande di Salta, alla pampa, alla Patagonia, al Chubut… fino alla punta estrema della Terra del Fuoco.
Ho visto tanti muri occupati da pitture che raccontano la voglia di ricordare, di testimoniare ma anche di cambiare quella storia in un futuro migliore.
Le strade sono tornate ad essere luoghi d’incontro di un quotidiano senza paura.
La notte vive e si anima nei locali pieni di musica e fantasia…a Belgrano, Palermo viejo, Puerto Madero, La Boca e in tanti altri quartieri della capitale.
I giovani sono tornati ad essere protagonisti delle loro esistenze e non spariscono più nel buio della notte in un garage clandestino.
L’orrore del passato è diventato memoria in un muro lungo cento metri che finisce nel mare, a Punta dell’Est. 30.000 nomi ricordano altrettanti giovani spariti in fondo al mare o in fosse comuni clandestine in Patagonia. Nomi e frammenti di un vissuto terribile che ora appartengono alla terra argentina ma che dovrebbero essere memoria condivisa da ogni uomo libero.

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